Editoriale – Verbi/Azioni: Iniziare

di Antonio Spadaro

Che cosa caratterizza un “genio”? L’ingegno? La sapienza? La cultura? L’intuizione? L’analisi? La sintesi? Credo tutte queste cose o almeno alcune di esse. Certamente almeno qualche opposto. Per esempio: l’intuizione e l’analisi, oppure la creatività e il metodo. Ma queste sono le “doti” di un genio, le parti di sé che lui possiede e che ha sviluppato nel tempo e che lo fanno essere quel che è. Ma non basta questo per essere un genio.

Per essere un vero genio ci vogliono le idee, le “visioni”. Ma quali? Quelle “chiare e distinte”? No. Il vero genio è mosso da idee indistinte e non del tutto chiare. Perchè il genio è colui che vive l’inizio e lì, in maniera instabile, si ferma. Il genio è come un uomo che attinge acqua alla sorgente e non al rubinetto. L’acqua sgorga senza regole e canali ma con la forza e la purezza dell’inizio. L’acqua alla sorgente sprigiona in maniera confusa e irregolare. Il genio è colui che, pensando, agendo, creando, componendo, resta sempre lì alla sorgente, in equilibrio instabile. Inizia sempre.

Ma bisogna stare attenti a non confondere l’inizio con il caos, con la confusione. L’inizio è quel momento “x”, forse impossibile da pensare veramente, che ferma la confusione e fa partire un processo di ordinamento, di orientamento. Ma il genio vive su quella “x”. Quell’inizio è luminoso: è il momento dell’esplosione, della luce… Il genio è colui che è visitato da una idea confusa e luminosa. In quel che pensa è mosso da questa idea per la quale non ha parole adeguate e forse neanche pensieri adeguati. Quest’idea muove e illumina tutta la sua attività, a volte in maniera contraddittoria persino, ma rimanendo confusa fino alla fine.

Ma questa esperienza è riservata a pochi eletti? No. Più che parlare di “genio” io parlerei invece di “esperienze geniali”, che è un altro modo per parlare di esperienze dell’inizio. L’inizio non è un fatto è un processo, un’azione. Ad esempio: avere un figlio. Avere un figlio è una esperienza talmente geniale che rivoluziona tutto. E’ un’esplosione confusa e luminosa. Un altro esempio: innamorarsi: l’amore è una realtà sorgiva che si impone sulla vita e la guida. Un altro esempio: il risveglio. Svegliarsi è quel momento che valica il caos del sonno ma non è ancora l’ordine della veglia, anche se tutto tende a quella. Un altro esempio: fare il caffè al mattino. In certe situazioni iniziare a fare qualcosa significa gustare il sapore sorgivo dell’inzio, dove gustare è sempre un pregustare. Un altro esempio: uscire di casa, specialmente se al mattino, o aprire le finestre. Questi sono gesti ordinari, ma in sè completamente carichi di genialità perché segnano la separazione tra un ordine (domestico) e un altro (cosmico). Ed è la soglia di casa o il davanzale il luogo di questa “geniale” esperienza dell’inizio. Questi elencati sono tutti gesti che, inconsapevolmente, si riferiscono all’inzio del mondo, della realtà.

Un altro esempio: scrivere una storia. Ideare un racconto non è scriverlo. L’idea, per quanto affascinante, non è creazione perché non è opera. Quando ti metti a scrivere una storia con il caos delle idee nella mente allora quel gesto ha tutto il gusto dell’inizio. E così dipingere, comporre… Se questo confronto con l’inizio manca, allora l’arte visiva diventa ombra o routine e la parole poetica e narrativa diventa caricatura o ghigno. L’arte, in quanto, creazione, è chiamata ad essere un gesto geniale, capace di confrontarsi con l’inizio del mondo.