Solo qualche ora.

Bill e Arlene Miller erano una coppia felice. Ma ogni tanto avevano come l’impressione di essere i soli, nella loro cerchia, a essere rimasti in qualche modo fuori: Bill, perso nel suo lavoro di ragioniere e Arlene, impegnata nei suoi compiti segretariali. Qualche volta ne discutevano, facendo dei confronti soprattutto con la vita dei loro vicini, Harriet e Jim Stone. Ai Miller pareva che gli Stone conducessero una vita più intensa e brillante della loro. I vicini andavano sempre a cena fuori, invitavano gente a casa o viaggiavano per tutto il paese in occasione di impegni di lavoro di Jim.
Gli Stone abitavano nell’appartamento di fronte a quello dei Miller. Jim faceva il rappresentante per una ditta che fabbricava pezzi di macchinari e riusciva spesso a combinare le trasferte di lavoro con i viaggi di piacere. Ora, per esempio, si sarebbero assentati per dieci giorni, andando prima a Cheyenne e poi a Saint
Louis, a trovare certi parenti. In loro assenza, i Miller avrebbero badato all’appartamento degli Stone, dato da mangiare a Kitty e annaffiato le piante….
Sebbene fossero dei tipi schivi e non particolarmente brillanti, gli Stone guardavano ai Miller come ad una coppia comunque affidabile e serenamente tranquilla.
Il giorno della partenza, dopo aver caricato la fiammante Station Wagon come se dovessero partire per una lunga vacanza in giro per l’Europa, gli Stone bussarono alla porta dei vicini per il commiato; Harriet raccomandò in particolare la piccola cagnetta Kitty che restava sola senza la sua “mamma”, scambiarono i numeri dei cellulari e, consegnate le chiavi dell’appartamento, partirono allegri e spensierati. Un velo di malinconia mista ad invidia pervase Bill ed Arlene.
Si divisero i compiti: Arlene portava a spasso Kitty al mattino mentre Bill provvedeva per il giro della sera; al ritorno dall’ufficio Bill ritirava la posta dalla cassetta delle lettere ed insieme, prima di cena, attraversavano il lungo pianerottolo che separava i due appartamenti per dare da mangiare al cane, curare le piante e controllare che non ci fossero problemi di sorta. Dopo qualche giorno presero l’abitudine di passare nell’appartamento degli Stone anche dopo cena; il terrazzo della grande sala, arredata con mobili moderni di gusto e indubbiamente molto costosi, dava sul parco del quartiere: di sera le luci dei lampioni irradiavano tutt’intorno un’atmosfera soffusa ed intima e dagli alberi saliva l’odore della resina e delle fronde. Bill ed Arlene, seduti sulle accoglienti poltrone in midollino, fumavano una sigaretta.
Una sera Arlene si trovava in cucina; aveva appena versato la scatoletta di carne nella ciotola di Kitty, quando Bill la cinse per la vita e le mostrò un biglietto.
Ehi! – disse Arlene – come siamo entusiasti questa sera! E questo cos’è?
Un invito per due all’inaugurazione di una mostra di pittura; non conosco l’artista, ma sembra che sia uno molto famoso.
E allora? – chiese Arlene accarezzando per un attimo la schiena della cagnetta che si avvicinava alla sua cena
Allora? E’ per sabato sera, Jim ed Harriet non potrebbero comunque esserci; potremmo andarci noi. Che ne pensi?
Noi? Ma è un invito personale, e poi non so…non saprei cosa mettermi, non conosciamo nessuno, non saprei cosa fare, come comportarmi…non lo so proprio Bill, non mi sembra un’ottima idea.
E invece sì! – ribattè Bill. – Dici spesso che non facciamo mai niente di particolare, che la nostra è una vita ordinaria, siamo felici sì, ma quante volte ci siamo fermati a discutere di quello che fanno i nostri amici e noi no? Dai, cosa vuoi che sia, in fondo si tratta solo di andare ad una mostra, non ci saranno convenevoli particolari, ci intrufoliamo nella folla e ne approfittiamo per una serata diversa. Sarà solo per qualche ora, nessuno scoprirà nulla.
Discussero ancora quella notte, ma il giorno dopo, al mattino, uno sguardo complice fece capire loro che sabato sera sarebbero stati lì.
E così fu. I giorni che precedettero la serata di gala scorsero velocemente, fece loro compagnia una strana eccitazione. Arlene uscì a comprare un abito nuovo, Bill rispolverò un completo che da tempo riposava in un angolo dell’armadio. Arrivò infine la sera dell’inaugurazione; con l’invito degli Stone in tasca, si recarono sul posto dell’evento. Passarono un po’ impacciati l’ingresso , ma poi si lasciarono andare decisi a godersi quell’attimo di vita mondana. Fra cocktail, discorsi e presentazioni il tempo scorse veloce e, nonostante non comprendessero appieno il significato nascosto dietro quelle linee e quelle ombre che venivano ammirate dei presenti, si scoprirono a pensare che forse la loro vita sebbene non fosse così male, poteva essere riempita da nuove emozioni.
Era notte fonda quando lasciarono la festa; in macchina Arlene si sentiva leggera, quasi si fosse ubriacata di musica, luci, chiacchiericci, spumante. Allungò una mano sul ginocchio di Bill che guidava sorridendo; lui si voltò e gli sembrò di vedere sul volto della sua compagna uno sguardo nuovo. E gli piacque molto.
Fu un attimo. Nello stesso istante Arlene urlò:
Bill, attento, quel camion, Bill, sterza.
Nel silenzio della notte lo schianto fu violento. Poi, di nuovo, il silenzio calò intorno a loro.
Per i successivi quattro giorni Jim e Harriet continuarono senza sosta e invano a comporre i numeri di telefono dei loro vicini. Non sapevano darsi una spiegazione e giorno dopo giorno una strana agitazione li prese, loro sempre calmi ed impassibili fremevano per quelle telefonate senza risposta. Il viaggio di ritorno sembrò lunghissimo; infine si ritrovarono finalmente sul viale alberato che portava alla loro casa. Dopo aver parcheggiato, senza neppure prendere le valigie, salirono di corsa le scale. Tutto sembrava tranquillo, avevano notato le imposte regolarmente chiuse, ma suonato il campanello dei Miller nessuno rispose.
Dall’altra parte però Kitty si fece sentire guaiolando leggermente dietro la porta. Harriet si precipitò verso di essa mentre Jim tempestava di calci la porta d’ingresso di casa Miller.
Non trovo le chiavi, non le trovo, Jim! – gridò Harriet istericamente mentre rovistava furiosamente dentro la borsa.
Calmati, Harriet! Calmati. – sbuffò Jim avvicinandosi a lei.
….. Lui provò a girare il pomello. Ma era bloccato. Non girava affatto. Lei era rimasta a bocca aperta e ansimava un po’, in attesa. Lui spalancò le braccia e lei ci si rifugiò.
“Non ti preoccupare”, le disse all’orecchio. “Per l’amor di Dio, non ti preoccupare”.
Rimasero lì. Si tenevano stretti. Si appoggiarono contro la porta, come per ripararsi dal vento, e si fecero forza.

Giusi.

Comments (1)

francesco chillariDicembre 1st, 2010 at 23:20

Davvero un bel racconto! Mi piace molto la descrizione dell’eccitazione di Bill e Arlene che si preparano per la mostra . Dà vitalità al racconto. E poi il finale, inaspettato, è davvero azzeccato!