Esercizi su “Il calzino spaiato”

di L. Tomasello:
“Una leggera brezza sventola i panni, Etta la maglietta sussurra a Licia la camicia: “guarda c’è Gino il calzino solo soletto come al solito, si dice che il suo gemello Pino sia partito per andare all’estero.”
Il povero Gino si sente triste e cerca di parlare con qualcuno steso lì vicino, ma Vanda, la mutanda è impegnata a parlare al telefono con qualcuna delle sue amiche. Giano l’asciugamano legge un libro, Angiolo il tovagliolo dorme tranquillo. Gino si rassegna e annoiato si addormenta.
Sogna di camminare per strada quando incontra un vecchio zerbino che lentamente si trascina, si avvicina e gli chiede dove è diretto. Il vecchio lo guarda e risponde che sta andando verso la discarica perché non serve più a nessuno, Gino si sente triste per lui e gli chiede se può accompagnarlo. Mentre si incamminano il vecchietto inizia a raccontare di quanto bella fosse stata la sua vita, era stato uno zerbino di classe, sopra di lui erano passati principi, re, principesse e regine. Gino gli risponde che era legato al fratello ma che lui era partito ed era sempre solo.
Il vecchio lo guardò e gli rispose: non ti preoccupare sei ancora giovane, la vita riserva sempre delle sorprese, non disperare. Gino sospirò pensando che anche i vicini facevano finta di non vederlo, mai un saluto, una parola, forse, pensò, il mio destino è rimanere solo.
All’improvviso un forte colpo di vento alzò lo stendino, lui si spaventò svegliandosi di colpo e vide  Etta che era vicino al bordo del balcone e stava per cadere giù, si allungò e con un grosso sforzo riuscì a trattenerla per una manica giusto in tempo perché non volasse via. Tutti gridarono di felicità per lo scampato pericolo, Etta lo abbracciò forte e da quel giorno Gino non fu più solo, divenne l’eroe e l’amico di tutti.”

 

NIKOLAJ di Davide Triolo

Ieri mattina il mio risveglio non è stato dei migliori, lo definirei “disturbato” da alcuni pensieri contrastanti, intimi, strettamente personali. Dopo una breve colazione, mi diressi verso i panni stesi appena la sera prima, e qualcosa attirò la mia attenzione. Uno dei miei due calzini rossi, i miei preferiti, era volato via a causa del vento, così da lasciar un unico calzino, il quale mi sembrava avesse una “espressione” particolarmente malinconica, seppur appunto credevo potesse essere soltanto una sensazione inusuale.

Feci per andarmene e d’improvviso il calzino solitario mi fermò con un grido disperato: “Non andare via, adesso come mai ho bisogno di comprensione, compagnia, conforto, qualcuno che mi indichi la via”. La mia reazione non fu istantanea, non potevo credere alle mie orecchie e pensai fosse soltanto un’allucinazione, così nuovamente camminai verso il bagno, ma mi raggiunse nuovamente un appello. “Davide non lasciarmi solo, ho bisogno di un bacio velato come quello degli amanti di Magritte, di uno cortese come quello degli infatuati di Hayez, e, solo quando sarai abbastanza pronto, ne vorrei uno avvolgente come quell’uomo e quella donna dipinti da Klimt, uniti da un’unione empatica quasi tangibile”.

Questa volta provai a rispondere con accortezza: “Ciao, beh, è difficile parlarti. Per me sei semplicemente un calzino, certo, uno dei miei preferiti, ma solo uno dei due calzini che uso spesso. Non scorgo la tua utilità se non insieme al tuo doppione, ma se proprio insisti posso conservarti in uno dei miei scaffali, ti terrò come amico e avrò cura di te, ma ti prego, non parlarmi ancora di baci”. Il calzino in seguito smise di identificarsi come oggetto ed evidenzio le sue peculiarità: “Davide, ci conosciamo da molto più tempo di quanto pensi. Io sono stato il tuo ciuccio Darren, il tuo orsacchiotto Marc, il tuo primo quaderno di matematica, Talete, il tuo Ken, la tua prima figurina, Altobelli, sono addirittura stato il tuo primo amore letterario, Le Petit Prince. Adesso sono uno dei due calzini, la tua mente mi ha dato un nome, mi presento: sono Nikolaj, mi chiamasti così dopo aver letto “La mantella” di Gogol e decidesti che il tuo oggetto della rovina dovesse essere proprio un calzino rosso, sino all’epilogo che ti aspettavi, ovvero che qualcuno ti portasse via una parte importante di esso”.

Dopo questo monologo davvero sorprendente, non riuscì a proferir parola, ma pensai a tutti gli oggetti che aveva citato Nikolaj, e in me andava man mano concretizzandosi il pensiero che magari nulla di ciò che stavo ascoltando fosse frutto della mia immaginazione. Il mio adorato calzino rosso continuò a esternare i suoi pensieri particolari, destando sempre più il mio interesse: “Davide, sono qui per dirti qualcosa di importante, finalmente. A dire il vero ho sempre cercato di comunicare con te, da bambino mi davi corda ma non comprendevi, da adolescente hai smesso di ascoltarmi, e non è un caso che adesso, da uomo, tu abbia ripreso a sentirmi. In te c’è una grave mancanza, hai perso qualcosa di grande, che io magari non so cosa sia, ma che ti tormenta. Hai necessità che qualcuno ti guardi dentro e ti riferisca ogni tuo particolare, gli occhi verdi, il naso a punta, l’estro immaginativo che ti caratterizza: sai già tutto, ma niente per te è appagante quanto la considerazione delle persone, anzi, parliamoci chiaro, di quella persona. Tu stai soffrendo perché sei diverso. Leggi molto a 20 anni, chi alla tua età farebbe lo stesso? Perdi tempo con tutti quegli autori russi, come si chiama quello? Si, Cechov, il tuo “preferito”. Adesso vorrei proprio capire cosa ti emozioni di un buffo uomo che dovette dedicarsi ad un doppio lavoro, in quanto quel “Dramma di caccia” che tanto veneri non aveva fatto neanche due soldi”.

A quel punto non potei fare altro che interrompere il discorso di Nikolaj, mostrandomi irritato al limite del possibile: “Vai via, non voglio vederti più, mi hai ferito nel profondo. Tu non mi capisci, come potresti? Sei solo un insulso calzino, non puoi pensare, non puoi parlare, sono soltanto al limite della mia psicopatia e sono davvero solo. Questo è il problema, io. Non sei affatto un buon consigliere, credevo volessi aiutarmi invece vuoi mandarmi solo giù. Ti prego, voltati e non tornare”. Nikolaj non fece una piega e replicò prontamente: “Davide hai colto finalmente il punto. Non sai come vivere senza Bella e adesso non sei più in vita perché lei ha smesso di starti accanto, è questa la fine che avresti meritato? Davide, se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia. LA SOLITUDINE ti divorerà, combattila”.

D’un tratto riuscì a svegliarmi, con grande sorpresa e con un fiatone che mai avevo accusato in vita mia. Accanto a me Bella, dolcemente presa da un sonno profondo, sopra di noi “La solitudine” di Chagall ed un forte vento soffiava rumorosamente al di fuori della stanza. Lasciai il letto per dirigermi verso i panni, come durante il sogno, e vidi uno dei miei due calzini rossi preferiti che stava per esser trasportato via dal vento. Riuscì a recuperarlo e lo racchiusi in un cassetto insieme a Nikolaj, al sicuro da tutto, all’oscuro di cosa fosse la solitudine.

Incontri di M. Diamante

Questa mattina frugando in una scatola, mi ha trovato, cercava proprio me! Mi ha guardato compiaciuta e canticchiando mi ha riposto in un piccola scatola rivestita  di  carta velina azzurra. Esco dai confini in cui ho sonnecchiato quasi mezzo secolo ed entro in un’ aula scolastica; sento voci squillanti  di adolescenti, poi dopo il suono della campana, vengo estratto con gentilezza  e appoggiato sul palmo della mano di una ragazza che sorride.

-Chiudi la mano!-

-Eravamo così piccoli?-

-Così piccoli. Talvolta anche di più. L’istinto di custodire  questa fragilità rimarrà per sempre nei genitori. Sanno che state diventando grandi, sanno che dovete andare via, ma vedono ancora quel piccolo calzino colorato e ricordano l’altro smarrito.-

Bussano alla porta ed entrano due ragazzi più grandi. Lei li accoglie felice, comprendo che sono stati suoi alunni. Freschi di diploma  Matteo e Laura la informano dei loro progetti. Insieme ripercorrono pezzetti di cammino, dove sembrava di non riuscire a proseguire.  E’ stato così anche per lei, per lungo tempo.

Matteo mi prende in mano e si scambiano uno sguardo complice . Li guarda emozionata e come sempre incrocia le dita per loro.

Non è mai troppo tardi ( storia di due fantasmini perduti) di F. Scattareggia

La stanza era buia e stretta, stracolma di ogni cosa, da un lato e dall’altro: una scarpiera, così sottile che solo per magia poteva contenere qualcosa, un armadietto dei medicinali, così alto che per trovare un digestivo dovevi usare una scaletta, un corpo lavabo, con un lavandino sopra e la lavatrice sotto ed in fondo lei…la cesta della biancheria sporca. Il percorso per raggiungerla era cosparso di pericolosissimi ostacoli, ciabatte, sacchi pieni di vestiti da portare alla caritas, piccole scatole piene di cianfrusaglie varie e di batterie, cartucce esaurite e cellulari ormai in disuso. La cesta in vimini e finemente decorata faceva bella vista di sé, ma, con un po’ di attenzione e la luce accesa, potevi notare una leggera nebbiolina che la circondava. Quei fumi avevano un odore nauseabondo e se fossero stati controllati con un rilevatore di radiazioni, avrebbero fatto scattare un allarme di pericolo per contaminazione radioattiva.

Dall’interno della cesta proveniva una vocina, flebile, quasi rassegnata:

-Aiuto, aiuto! Non ce la faccio più. Salvo, ma da quanto tempo ormai siamo qui dentro?

-O Sergio, e chi se lo ricorda. Quanto vorrei vedere di nuovo la luce e togliermi di dosso tutta questa roba puzzolente che toglie il respiro.

-Già, e poi queste lenzuola invernali mi schiacciano, fanno un calore da morire. Aspetta, aspetta, sento dei passi…

La cesta all’improvviso si apre e una mano comincia a tirare tutto fuori.

-Sono qui, – urla Sergio – ti prego fammi uscire!

-Qui, qui, – urla ancora di più Salvo – prendici almeno questa volta.

I due fantasmini facevano a gara a chi potesse urlare di più, ma erano talmente piccoli e posti in fondo alla cesta che le speranze di essere pescati erano scarsissime. Poi ad un tratto sentirono come se il mondo andasse sottosopra: due mani avevano afferrato la cesta e l’avevano completamente rivoltata. Sergio e Salvo si ritrovarono per terra sul pavimento. Non credevano ai loro occhi: la luce.

-Salvooooooo, siamo fuori, ce l’abbiamo fatta.

Ma non era ancora finita. I due calzini furono introdotti nella lavatrice insieme a t-shirt, boxer, slip e tanti altri calzini.

-Sergio, non ci posso credere – Salvo non stava più nella pelle per la felicità – torneremo ad essere usati ed a profumare.

-Siiiiii, non vedo l’ora di tornare in quel delizioso piedino di Chiara, così morbido e liscio.

Il lavaggio fu una gran festa: per Sergio e Salvo sembrava di essere all’Acquafan, su e giù, rotazione in un verso e nel verso opposto, onde che li investivano e tantissima schiuma con cui giocare. Era davvero il loro giorno fortunato.

Ma la tragedia era dietro l’angolo, perché di lì a poco sarebbe successo quello che mai si sarebbero immaginato.

Le acque si placarono e lo sportello della lavatrice fu aperto. Pian piano tutto fu sistemato in una grande bacinella pronto per essere steso. Ad un tratto Sergio ebbe un brivido di freddo: non riusciva a trovare più Salvo.

-Salvooooo, dove sei? Non ti vedo più.

-Ehiiiii – disse Salvo – ti sento ma non ti vedo, dove sei? Io sono uscito e tu?

-No, io no, sono ancora qui dentro, e non capisco perché.

Mentre parlava, la luce della stanza si spense, la bacinella fu portata via e Sergio si trovò solo all’interno della lavatrice. Era accaduto che l’ultimo passaggi di centrifuga, lo aveva scaraventato su un lato e Sergio si era incastrato in quello spazio gommoso che c’è tra l’apertura ed il cestello.

-Non è possibile, sono rimasto qui dentro – pensò Sergio. Va bene, pazienza, tanto se ne accorgeranno e mi verranno a cercare.

La speranza lo tenne su per qualche tempo, ma quando si accorse che niente accadeva, cominciò a disperare. Dovette affrontare un altro lavaggio, e poi un altro ancora, ma nessuno si accorgeva di lui, perché era completamente incastrato.

-Sono invisibile – piagnucolava – non uscirò mai più da qui. Era meglio se rimanevo nella cesta, almeno stavo con Salvo. Mi sento solissimo e non posso fare nulla. E’ troppo tardi! Chissà che fine ha fatto Salvo…

Salvo, già proprio lui, dove sarà?

Eccolo, tristemente solo, appeso allo stendino, ormai asciutto ma spaiato, quindi destinato a rimanere lì fino a quando non sarà utilizzato come minipezza per spolverare.

-Non mi posso arrendere – pensò Sergio – farò un ultimo tentativo e poi amen.

Raccolse tutte le sue forze, prese un bel respiro e con un colpo di reni provò a balzare nel cestello della lavatrice. Il primo tentativo fallì, ma con la seconda spinta uscì dall’incastro e finì nel cestello. Adesso aveva ancora una speranza.

Arrivò il giorno del lavaggio e Sergio fece molta attenzione opponendo tutta la resistenza che aveva in corpo per non finire di nuovo incastrato. Fu preso insieme all’altra roba e finì nella bacinella e poi steso fuori. Non era completamente felice perché gli mancava Salvo. Mentre pensava tra sé a tutti i bei momenti passati con Salvo, dalla parte opposta dello stendino intravide un fantasmino. Non riusciva a distinguerne bene i tratti, finchè tutta la biancheria fu raccolta e rimasero solo loro due: Sergio e Salvo. Si erano ritrovati e la gioia fu enorme, ancora più grande quando furono riappaiati e consegnati alla bambina che li indossò immediatamente: era come se avessero ricevuto quella carezza che aspettavano da tempo.

Tutto può sempre accadere, soprattutto se lo vogliamo con tutte le nostre forze: non è mai troppo tardi.

Calzini di G.Gravina

Anche se ciò non importa a nessuno

Avrei voluto esser due e non uno,

Aver un compagno, un tipo gemello

Che mi rendesse il cammino più bello.

Insieme avremmo con ansia aspettato

Chi già dall’alba ci avesse indossato

Per poi percorrere vie e stradoni

Un po’ di corsa, un po’ a tentoni

E fianco a fianco, avendo coraggio,

avremmo compiuto con lui il nostro viaggio.

Dal sole e dal gelo avremmo protetto

Come due eroi quell’uom benedetto.

La sera poi in un tuffo gioioso

Su una sedia trovando riposo

Avremmo pensato che gioia e dolore

Al pari di noi hanno un solo colore.

Da un fondo cassetto li estrae una mano

 E l’essere umano conducon lontano.

Nell’alternarsi, più lento o veloce,

danno gran pace o mettono in croce.

Poi, alla fine, anche lor son deposti

E tirate  le somme, contandone i costi,

Come i calzini che rappresento

Il loro olezzo si perde nel vento.

“Storia di un calzino spaiato” di M. Puccia

E così un giorno mi ritrovai libero….
Basta con questa idea della coppia, essere la metà di una mela!
In fin dei conti non nasciamo dallo stesso seme, forse dallo stesso filo… e nemmeno con certezza. Siamo due corpi indipendenti, ognuno con la sua trama di vita, ognuno con le sue maleodoranti vicissitudini. Magari desideravo un piede da calciatore io!
Quindi, da oggi,si cambia cassetto, stendino e soprattutto compagno di viaggio.
Potrò scoprire che il verde sta bene anche con lo smoderato rosso e non solo col perbenista blu. Ho voglia di stendini di campagna, fatti di natura e non di candida plastica.
Ho voglia di essere a servizio della comunità!
Potrei proteggere dagli spifferi delle finestre, divertire i bambini diventando buffo attore di avanriciclo, evitare scottature in cucina.
… E dopo aver conosciuto tutto quello che sono e che posso essere, credo che incontrerò il calzino della mia vita.
Uno che come me desidera affrontare col sorriso tutte le sue toppe evolutive.