RIFLETTENDO SUL FILM “WALL-E”: IL TOPOS DELLA SOLITUDINE COME PRECONDIZIONE DEL RAPPORTO CON L’ ALTRO IN ESEMPI TRATTI DAL CINEMA E DALLA LETTERATURA

<<La prima volta che vidi la ragazza, piangeva. Non so da che parte fosse arrivata, perché di giorno me ne sto il più possibile rintanato sotto la superficie, dove il fondo è scuro, in una zona coperta da alghe poco lontana dal condotto che porta alla mia caverna sotterranea. (…)

Nessuno mi ha mai visto, nessuno ha mai sospettato la mia presenza. Il riflesso dei monti e della vegetazione intorno al lago è così nitido che mi aiuta a nascondermi. (…)

Ci sono alcune costruzioni sulla riva, dove è possibile per gli umani in visita comperare da bere o fermarsi a mangiare, ma nessuno di quelli che lo fanno vive lì. Quando alla sera non c’ è più nessun turista, i proprietari chiudono quelle case e se ne vanno, imboccando con dei mezzi che si muovono la strada sterrata che porta non so dove. Il mio mondo finisce sulle rive di questo specchio d’ acqua. L’ unico spostamento che mi è permesso è quello che faccio con lo sguardo, quando il lago è deserto e io lascio uscire il mio lungo collo oltre la superficie e con gli occhi percorro la linea delle montagne che girano intorno all’ orizzonte.

C’ è un po’ d’ ansia nel vedere quanto tutto è più grande rispetto al mio piccolo mondo subacqueo, un minuscolo sottile dolore per quello spazio sconfinato che non percorrerò mai. Ma l’ aria è fresca, basta la mia solitudine e un robusto colpo delle mie zampe palmate per godere in pieno della libertà del lago deserto, nelle ombre del tramonto. Muovere veloce il mi corpo affusolato e tuffarmi e riemergere dai riflessi sull’ acqua è un po’ come fare parte del riflesso stesso, è come essere in qualche modo sulle montagne che non vedrò mai da vicino.

Non so da quanto tempo sto qui. So solo che a un certo punto, molto tempo fa, ho avuto la percezione di esistere e che dovevo nascondermi per continuare a farlo.

Da sempre sono solo>> (G. Faletti, La ragazza che guardava l’ acqua)

La visione del film d’ animazione Wall-E mi ha suscitato, tra le altre idee, quella di cui al titolo del presente testo. E’ un argomento che vorrei sviluppare confrontando il film con un racconto importante della storia della letteratura, nonché con il recente racconto di Faletti che ho appena citato.

Il racconto classico è Le notti bianche, di Fëdor Dostoevskij. Come in Wall-E, il protagonista de Le notti bianche vive in una condizione di solitudine, la quale , trattandosi di un’ opera del grande scrittore russo, anticipatore delle tematiche del novecento, può già considerarsi una solitudine di tipo esistenziale, costitutiva del personaggio, e quindi non transitoria o dovuta a motivi contingenti.

In Dostoevskij come nel film della Pixar il personaggio principale viene a patti con la sua solitudine e ne fa la postazione privilegiata dalla quale osservare il mondo che lo circonda. Anche in Dostoevkji, come nel film, ha luogo un esodo, quello degli abitanti di Pietroburgo che lasciano la città per recarsi in campagna all’ inizio della primavera. Il protagonista si gode la sua solitudine, ne è quasi orgoglioso, perché essa lo distingue dagli altri e gli consente di affrancarsi dalle abitudini e dalle convenzioni della società a cui appartiene. Ma questa parte iniziale del racconto – alla quale principalmente limito la mia attenzione – è anche quella che fa scattare in lui la molla, quando apparirà il personaggio di Natasha, per gettarsi in una relazione nella quale dimostrerà tutta la sua generosità, tanto da aiutare l’ altra, di cui nel frattempo si innamora, a ritrovare il fidanzato, finendo per ritrovarsi miserabilmente solo, anche se contento di aver amato almeno una volta.

Rispetto al robot di Wall-E vi è una differenza nel carattere del protagonista. Il personaggio di Dostoevkij è – come dicevo – solitario per natura e si compiace di esserlo. Questa condizione forse non è estranea all’ esito della vicenda narrata ne Le notti bianche, come se, al di là degli eventi esterni visti con il carattere della fatalità, riuscisse vincitrice una tendenza profondamente radicata nel carattere del personaggio.

Al contrario, il robottino Wall-E è solo perché la sua missione lo richiede, ma nella lunga permanenza sul pianeta terra, ormai disabitato, egli sviluppa, oltre a una grande capacità di adattamento, anche un profondo desiderio di conoscenza verso gli oggetti che rinviene, tanto da amare – e da custodire come preziose reliquie – le povere vestigia di una civiltà forse scomparsa per sempre, e da non smettere mai di sperare che la sua solitudine possa un giorno finire. Ché, anzi, egli si umanizza, grazie all’ ascolto attento di quei frammenti del passato che raccontano un’ ordinaria storia d’ amore tra umani, proprio nello stesso prolungato arco di tempo nel quale gli uomini che lo avevano costruito si fanno trascinare per inerzia nella “malattia” dell’ eroe del racconto dostoevkijano, divenuto nel finale ormai indifferente a tutto.

Da tale inerzia e imperturbabilità al narcisismo (dal greco narké, vale a dire “sonno”) il passo è breve. E il peculiare modo di manifestarsi del narcisismo proprio del protagonista, nell’ apertura de Le notti bianche, richiama da vicino l’ incipit de La ragazza che guardava l’ acqua. Si tratta di una sorta di estensione del senso dell’ identità, che, non incontrando interlocutori, ma nemmeno ostacoli, gode dell’ assenza di confini e della propria illimitata libertà, in un gioco di immedesimazioni con ciò che sta al di fuori di sé. Si afferma per un istante una beatitudine tanto onnipotente quanto illusoria, fatalmente avviata verso un esito opprimente e claustrofobico.

<<(…) sono ormai già otto anni che vivo a Pietroburgo e non ho saputo fare pressoché nessuna conoscenza. Ma a che pro avere conoscenze? Anche così conosco tutta Pietroburgo (…). Anche i palazzi mi sono noti. Quando cammino, è come se ognuno di essi mi corresse incontro per la strada,, mi guardasse da tutte le finestre e quasi dicesse: <<Salve; come va la salute? Anch’ io sto bene, grazie a Dio, e nel mese di maggio mi aggiungeranno un piano>>. Oppure: <<Come va la salute? Domani cominceranno a restaurarmi>>. Oppure: <<Sono quasi andato a fuoco e che spavento!>> (Dostoevkij, op. cit.).

Riepilogando: in tutte e tre le opere citate il protagonista riceve, dalla propria condizione di profonda solitudine – ancorché vagheggiata e idealizzata narcisisticamente in due dei tre casi considerati – una forte spinta a impegnarsi nel rapporto e nella conoscenza dell’ altro. Tutti e tre i protagonisti si rivelano dotati di abnegazione e instaurano rapporti caratterizzati da forte complementarietà e reciprocità. I risultati finali sono però diversi. Solo Wall-E e lo strano essere che abita il lago nel racconto di Faletti potranno definitivamente uscire dalla solitudine, mentre il protagonista senza nome de Le notti bianche sprofonderà ancor più in essa, e stavolta in modo definitivo, anche se considererà il breve momento di felicità trascorsa con Natasha talmente importante da rendere la sua vita degna di esser stata vissuta.

Dal canto suo a quale condizione il robot Wall-E riesce nel difficile compito di rendere nuovamente gli esseri umani protagonisti della propria vita, e a farsi infine ricambiare dalla bellicosa robottina di cui si è innamorato? Al di là di tutti gli accorgimenti che la sua spiccata intelligenza e l’ inveterata abitudine a far fronte a ogni difficoltà gli suggeriscono, la condizione del successo di Wall-E risiede forse nell’ incrollabile speranza, che alberga in quel suo cuore meccanico, nella possibilità dell’ umanità di rinascere a se stessa, superando l’ alienazione alla quale l’ aveva condotta il demandare la gestione della propria vita a direttive standardizzate e a cervelli meccanici. E’ questa invincibile speranza che alla fine Wall-E riesce a trasmettere agli altri, riaccendendo in essi un alito vitale che era rimasto a lungo sopito, ma che non era morto per sempre.

Wall-E si può considerare pertanto, a mio parere, un piccolo capolavoro che riesce a trattare, con garbo e freschezza, molti grandi temi. Oltre alla solitudine, all’ amore e alla speranza, incontriamo il coraggio, la comunicazione, la libertà, il cambiamento interiore, la conoscenza. E credo che se ne potrebbero aggiungere altri ancora.

Ma veniamo al brano che ho citato all’ inizio e ai motivi della mia scelta. Nel racconto di Faletti, che vi invito a leggere, è portata ancora oltre l’ innovazione nella caratterizzazione del protagonista. L’ intreccio viene sviluppato in direzioni inaspettate. Ma non sono aboliti i temi classici già indicati, di cui anzi viene ribadita la validità. L’ originale lieto fine, però, non prevede la trasformazione in principe – né in semplice uomo – del personaggio che abita nelle acque del lago. Tanto meno egli sposa la ragazza. Ma riesce appieno a sviluppare tutte le potenzialità insite nella sua natura. Per tal via, al messaggio di Wall-E il racconto di Faletti ne aggiunge un altro: quello del rapporto con il diverso e di come la felicità si possa nascondere in soluzioni che non avevamo né previsto né desiderato.