Oltre la finestra – Esercizi.

Sono stati giorni duri, faticosi, nuovi, memorabili. Una pandemia che fino a pochi mesi fa avremmo considerato oggetto di trame letterarie o cinematografiche ha stravolto la nostra vita. Noi abbiamo provato a fermare questo tempo guardando con occhio nuovo quello che ci circonda, lo spettacolo quotidiano che il mondo ci dona, al di là di una finestra dietro la quale siamo rimasti confinati.

Ecco i vostri contributi.

 

COVID 19

Se me lo avessero detto qualche mese fa, non ci avrei creduto: quel vialone, visibile solo per una piccola parte, insieme al silenzio, diventato compagno delle nostre strade, fa davvero paura.
Da qualche giorno hanno cambiato l’illuminazione e dalla calda luce arancione si è passati ad una luce bianca, quasi metallica. Certo, il risultato è migliore se si pensa alla sicurezza della strada: quella luce è talmente forte e ben direzionata, che nulla può sfuggire ai tuoi occhi, anche minimi dettagli o impercettibili movimenti di gatti o altri animali meno nobili. L’effetto, però, è da corsia di ospedale, o, peggio, da istituto penitenziario: nessuno può sfuggire a quella luce e ne ebbi la conferma quella sera. Appoggiato alla ringhiera del balcone, mentre osservavo con curiosità tutto quello che accadeva nelle case e immaginavo dialoghi e storie, ricordando quando da bambino restavo affascinato dai grandi condomini illuminati a giorno, sentii urlare con tono di rimprovero: “ Andate a casa! Rispetto, ci vuole rispetto!”.
La voce proveniva dal palazzo laterale rispetto al mio, da uno dei balconi che davano propri sul vialone, ma era impossibile vedere chi fosse. Era, invece, impossibile non vedere quattro persone che camminavano a debita distanza l’una dall’altra. La luce dei lampioni li illuminava in pieno e non c’erano zone d’ombra nelle quali poter riparare. Non potei fare a meno di pensare per un attimo ai prigionieri di guerra che, tentando la fuga, venivano abbagliati con i fari dei campi di prigionia: un brivido mi percorse la schiena, ma subito alzai gli occhi, attirato dalla danza di una bambina nella sua cameretta. 0Si muoveva leggera, spingendo i fianchi da un lato all’altro e ondeggiando in alto le braccia e le mani, a volte girava introno a se stessa e poi si buttava sul suo lettino con un’agile capriola: anche quella doveva far parte della sua immaginaria coreografia, costruita su qualche dolce ed elegante colonna sonora della Disney. Credo che il suo viso ed i suoi occhi esprimessero in quel momento tutta quella gioia che solo il cuore di un bambino può avere: stava vivendo i suoi sogni nel suo piccolo regno, sicuro e inespugnabile, custodito da due invincibili sentinelle, mamma e papà. Ed ecco arrivare la mamma che le dà un bacio sulla guancia e si avvicina alla finestra per chiudere le tende. La luce resta accesa ma si abbassa, così come i miei occhi che scendono al piano di sotto. Un’unica stanza super illuminata, con due grandi vetrate che la fanno sembrare ancora più grande. L’ambiente è decisamente diverso, ci sono persone che appaiono e scompaiono, sembra che tutti abbiano fretta o che abbiano qualcosa da fare. I fornelli sono accesi e le pentole fumano, ma ciò che mi colpisce è la vista di un uomo ed una donna, uno di fronte all’altra. Sono piantati in mezzo alla stanza e, dai gesti, non sembra che si stiano rivolgendo parole dolci. Il movimento delle mani tradisce un misto di fastidio e di rabbia, non c’è un momento in cui le due voci non si accavallino, non riescono proprio a parlarsi o ad ascoltarsi. Anche questa volta sono preso da un brivido, ma non perché due persone stanno litigando, ma perché ci sono altri che continuano ad andare avanti ed indietro come se nulla fosse. Mi chiedo, indifferenza o abitudine? In qualunque caso, mi riesce difficile comprendere.

Penso di aver già visto abbastanza ma, quando sto per rientrare, ho la sensazione, questa volta, io di essere osservato. Proprio di fronte a me, dietro un vetro con la serranda abbassata poco più della metà, sei occhi mi fissano immobili. Devo fare un po’ di fatica per mettere a fuoco perché all’interno è buio, ma poi vedo e non credo ai miei occhi: tre gatti, ordinatamente disposti in orizzontale, immobili, mi guardano e chissà da quanto tempo.

Sorrido e capisco che, forse, quelli strani siamo noi e non loro.     (Francesco Scattareggia)

 

 

Senza titolo.
Dacia Maraini dice che in questi giorni sta riscoprendo ciò che succede oltre la sua finestra. E ha ragione. Solitamente presi dai nostri impegni dentro e anche fuori, siamo distratti su quanto c’è là fuori, visto dalla prospettiva del nostro sguardo da dietro la finestra. Io solitamente innamorata del mio bel panorama dello Stretto, scopro anche le storie: siamo costretti in casa, la gente nn esce x lavoro e si sentono il silenzio, le voci domestiche, i rari rumori di strada, qualche passo sui marciapiedi e il motore di poche auto, l’assenza dei bambini particolarmente “coinvolti” nel gioco del pallone che solitamente va a sbattattere su cancelli e serbatoi (e chi avrà più il coraggio di riprenderli dopo questa quarantena, dove loro ci stanno insegnando a essere più bravi e resilienti di noi..riscopri l’umanità, le frustrazioni, le ansie per domani, le fragilità amplificate dalle pressioni delle emergenze di alcuni ma anche la pace conquistata da altri..e vedi piccole storie di accensione improvvisa e sproporzionata degli animi…con qualche fuoriprogramma, come quello di oggi: 2 auto sanzionate, da giorni sopra il marciapiede a spina, che impedivano l’uscita da un portone, con tanto di carroattrezzi..sul parabrezza di una delle auto oltre la multa il sacchetto della spazzatura di qualcuno, altrettanto incivile come l’automobilista, che, infuriato davanti ai vigili, scaglia l’immondizia contro il portone aperto, urla e litigio con un abitante del palazzo in questione annessi..la piccola fotografia del malessere che è diffuso e una piccola verità: l’uomo nn cambia mai verso l’altro uomo, è un lupo (ma è un’offesa x il lupo) nei confronti dell’altro uomo, chi è propenso alle azioni positive, continua ancor di più, chi no, ancor meno, si chiude nel suo egoismo, l’arrogante prova ad affermarsi ancora di più, chi è portato all’odio ha in più l’arma dei social, abusatissima da 1 lato, compagna dall’altra…la differenza è solo che tutto è più amplificato…   (M. Tiziana Sidoti)
Fast and serious. 

Il cielo è di un azzurro vivo, profondo, senza neanche una nuvola. Il sole di mezzogiorno illumina ogni cosa e la luce si riflette sul bianco delle calçadas, dei sanpietrini di cui ogni marciapiede, a Lisbona, è lastricato. È un bianco che acceca, che mi costringe a socchiudere gli occhi. La fresca brezza che soffia mi ricorda che, sebbene sia primavera inoltrata, sono pur sempre al terzo piano di un palazzo nella zona di Alto do Pina e qui il vento non manca mai. Non c’è il solito via vai di fronte alla tasquinha all’angolo. Quel bar minuscolo, così piccolo che si può mangiare solo in piedi al bancone, è chiuso.
Il riflesso della luce sul vetro della finestra mi permette di passare inosservato mentre guardo fuori, attratto dai ripetuti rombi di motore, dallo stridìo di improvvise frenate e dallo scoppiettare di una marmitta. L’officina di fronte casa è aperta e un meccanico sta provando una macchina da rally rossa fiammante che richiama alla mente i modelli di utilitaria anni ’70; non riesco a riconoscere la marca, dev’essere una di quelle auto portoghesi di cui, fuori dai confini nazionali, si ignora l’esistenza. È palese che di originale sia rimasta solo la carrozzeria, tutto il resto è stato assemblato di recente come per esempio i fari anteriori, tondi e gialli. I cerchi in lega e il paraurti metallico luccicano, mentre il pilota fa le sue manovre.
Intanto, un furgone si ferma e resta col motore acceso. La carrozzeria è interamente ricoperta da una stampa stilizzata su uno sfondo tra il blu scuro e il nero, in cui brilla, su ogni lato, la scritta “Fast and Serious – Transportes e mudanças – compact transports”. Accanto alla scritta c’è la gigantografia, in primo piano, di un uomo pelato con la pelle color oliva, fotografato in posa come se stesse seduto alla guida col finestrino abbassato, con un tatuaggio sul bicipite che emerge dalla manica corta della sua maglietta. Nella foto non sorride e ha lo sguardo da duro, sembra un attore famoso e la scritta sul furgone ha lo stesso grigio splendente e lo stesso carattere tipografico usato per un certo film. Vin Diesel dei poveri apre lo sportello, scende, scarica alcuni scatoloni e li consegna. In effetti gli somiglia anche nel fisico e nell’abbigliamento, jeans aderenti e muscoli stretti in una maglietta nera. Indossa una mascherina chirurgica, non so se sta sorridendo. Si ferma solo un attimo per una firma e poi riparte in fretta, fedele al suo motto.      (Sergio Busà)

“LA LUPA” E IL COVID-19

Da troppi giorni Caterina guardava il mare dalla finestra, un orizzonte familiare, con il profilo delle montagne calabresi che ricordano che quella è Italia…il “continente” come dicevano i nonni. Era la prima cosa che faceva, tornando a casa, dopo i turni estenuanti in ospedale al tempo della pandemia, tempo scandito da un binomio indissolubile, ospedale-casa-casa-ospedale. Guardare il mare era l’unico spazio di libertà che proiettava il suo pensiero oltre il limite di quell’orizzonte…il mare non delude mai, pensò Caterina, dà gioia, con la sua capacità di sfoggiare tutte le sfumature di azzurro nelle giornate limpide e piene di sole e dà malinconia, quando sferzato dallo scirocco più o meno rabbioso, diventa grigio, arricciato da onde bianche e maestose. Quel giorno però, smontando dal turno di notte e aprendo la finestra di casa, Caterina vide lei, “la lupa”. A Messina “la lupa” è un fenomeno atmosferico familiare e affascinante, quella nebbia particolare, sospesa poco sopra il mare, che diventa impenetrabile per i naviganti, persino per quelli più esperti. Caterina guardava questa barriera eterea che copriva ogni orizzonte e pensò, chissà perché, a come dovettero sentirsi gli uomini che nei secoli avevano attraversato lo Stretto e che all’improvviso si trovavano immersi nel nulla. Pensò che quelle acque le aveva attraversate anche Ulisse o uomini come lui che non accettavano il mistero di un’esperienza sconosciuta, e che con audacia e determinazione erano alla ricerca della verità, di mondi migliori dove poter vivere in pace, dopo la devastante esperienza della guerra. Rimase a guardare dalla finestra, finché i primi raggi di sole non dispersero la nebbia e sorrise, sentendosi un po’ Ulisse, nel pensare che “la lupa”, come il Covid-19, sono fenomeni da affrontare con coraggio e razionalità, ricercando un mondo migliore per il futuro. E’ l’eterna battaglia tra la luce e le tenebre, tra eros e thanatos, è la vita che ci avvolge tra le sue pieghe. L’odore del caffè, che rumoreggiava nella moka, le diede una gioia lieve.     (Rosy Sturniolo)